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Bestiario d'amore

Il 14 febbraio 2020, nell’anno del trentesimo anniversario della sua carriera, è stato pubblicato in cd ed ep 10” il nuovo progetto discografico di Vinicio Capossela, «Bestiario d’amore». 

Non un vero e proprio album, ma una piccola opera composta da quattro brani di ambientazione trobadorica che ha visto il suo battesimo dal vivo proprio il giorno del santo e martire Valentino, sotto le volte gotiche e gli animali in pietra della Union Chapel di Londra.

 

Con «Bestiario d’amore» Capossela ha portato a compimento il viaggio nel Medioevo fantastico iniziato con «Ballate per uomini e bestie», l’album uscito a maggio 2019, accolto con successo dal pubblico e dalla critica e vincitore di numerosi riconoscimenti, tra i quali la Targa Tenco come miglior album in assoluto e il premio come Album dell’anno ai Rockol Awards.

Già in «Ballate per uomini e bestie», Capossela aveva tratto ispirazione per la scrittura di alcuni dei brani dagli antichi bestiari medievali, trattati in cui si descrivevano le caratteristiche e le proprietà naturali e soprannaturali di animali esistenti o immaginari identificati come simboli teologici, filosofici e morali e spesso usati come allegorie da poeti e artisti.

Le creature dei bestiari rappresentavano un ponte per raggiungere la zona più profonda e nascosta della natura umana, osservata attraverso lo specchio deformante, e dunque rivelatore, della vita animale. Ed ecco che gli animali che abitano le diverse canzoni di «Ballate per uomini e bestie» parlano di noi, dei nostri istinti, delle nostre fragilità, delle nostre paure e dei nostri desideri.

 

Per scrivere «Bestiario d’amore», Capossela ha attinto questa volta dal componimento letterario di un erudito del XIII secolo, Richard de Fournival, che combinando le favolose descrizioni naturalistiche dei bestiari medievali e la fenomenologia dei comportamenti amorosi tenta l’impossibile: dare vita a un trattato scientifico che descriva e decifri il più misterioso dei sentimenti: l’amore.

Il risultato è un’opera di grande originalità ed irresistibile ironia con la quale Vinicio Capossela si è divertito a giocare, trasformando il Bestiario in un poema musicale riccamente vestito grazie alla partecipazione della Bulgarian National Radio Symphony Orchestra arrangiata e diretta dal Stefano Nanni.

Il 22 febbraio è partito il tour italiano del concerto costruito intorno a «Bestiario d’amore» che sarà presentato in due suggestive declinazioni che ben rispondono alle diverse manifestazioni del desiderio amoroso: una macroscopica e fragorosa grazie alla presenza del più grosso organismo vivente in musica, l’Orcaestra sinfonica diretta dal Stefano Nanni; una più intima ed evocativa che vedrà Capossela accompagnato in scena dal poliedrico musicista Vincenzo Vasi per dare vita insieme ad un tessuto musicale che avvolgerà il pubblico in una vera e propria scenografia di suoni.

 

L’EP «Bestiario d’amore» è custodito da una preziosa scatola che funge da scrigno al libretto illustrato da Elisa Seitzinger, artista visiva da anni impegnata in un percorso di ricerca ispirato ai codici stilistici dell’arte medievale, contenente, oltre ai testi dei brani e a una nota firmata da Capossela, le introduzioni di Francesco Zambon, docente di filologia romanza e autore della traduzione del testo di de Fournival, e della grande medievista Chiara Frugoni.

Note dell'autore

Il «Bestiario d’Amore» è una delle opere più straordinarie, più ironiche, più immaginifiche che si possano trovare su questa forza misteriosa che trasforma e imbestia le creature umane quando sono sotto l’effetto dell’amore. L’intero meccanismo amoroso è analizzato in maniera scientificamente impossibile. Come un indagatore del moto perpetuo, De Fournival prova a codificare le incodificabili ed eppure certissime leggi che governano questa mascherata perenne che è la commedia amorosa.

Accanirsi nel musicare un’opera che comincia con una messa al bando del canto è stata un’impresa diversamente bizzarra e inutile, oltre che superstiziosamente pericolosa. Chi canta o ascolta non fa mai una buona fine nel bestiario: che sia il canto della sirena, o quello del cigno, o quello del grillo si finisce sempre per morirne. Forse per questo il poeta, una volta constatato che “il canto poetico conduce alla morte senza procurare alcun beneficio”, rinuncia e affida il suo estremo bando a parole e immagini, perché per mezzo di immagini e parole si possa giungere alla memoria che è “custodia dei tesori che lo spirito umano conquista con l’eccellenza del suo ingegno”.

Se cantare è rischioso, più che una canzone ho provato a mettere insieme una specie di racconto musicale in cui ogni creatura viene evocata con sigle melodiche o timbriche, grazie all’opera di Stefano Nanni che ci ha messo l’orchestra, che è pur sempre il più grosso organismo vivente in musica: l’Orcaestra sinfonica, l’essere smisurato in grado di inghiottire l’esperienza della vita e risputarla fuori in forma di emozione. Nel suo emiciclo è finito questo testo prezioso, riassunto e rischiosamente cantato novecento anni dopo, solo per il rinnovato diletto del vedere, udire e ricordare parole che mettano in mostra il bestiario illustrato che siamo. Ora come allora non si è mai così soli e affollati di mostri, come da innamorati. Completano la compagnia di ventura una opertūra-copertina musicale e due canzoni ricavate da liriche trobadoriche, a conferma del fatto che l’unica cosa che conta sia l’essere trovati.

Vinicio Capossela

Il Bestiario d'amore di Richard de Fournival

I bestiari medievali erano opere che presentavano ai lettori gallerie di descrizioni di animali, veri o fantastici, seguite da interpretazioni allegoriche che ne facevano delle figure di insegnamenti morali o di verità della fede; nei manoscritti erano spesso magnificamente illustrate. Un singolare intellettuale francese del XIII secolo, Richard de Fournival, medico del re di Francia Filippo Augusto, astrologo, alchimista e poeta, attinse a questo patrimonio scientifico-religioso per uno scopo alquanto originale e sorprendente: convocò infatti queste leggende tradizionali come argomenti per convincere la donna amata, in una lettera fittizia, a ricambiare il suo sentimento, cosa per la quale tutte le canzoni amorose che le aveva scritto, dice, non erano servite a nulla.

In questo modo il galante innamorato si diverte a indossare – e a far indossare alla dama – le pelli degli animali più strani e bizzarri: questi amanti cantano come galli, come cigni o come sirene, ragliano come asini selvaggi, saltano come scimmie, mimano il castoro che si evira e il coccodrillo che piange, si spennano, covano o sono covati, si vedono spuntare becchi, artigli, ali e code, in una sorta di buffa e sorridente mascherata, di spettacolo carnevalesco. Ma è solo un gioco autoironico: per quanti argomenti naturalistici (o pseudo-naturalistici) egli adduca, l’amante sa che se la donna non ha alcuna intenzione di concedergli il suo amore, non c’è niente da fare. Ma anche questo fa parte del gioco, perché, per dirla con l’autore, «Anche se non mi amaste, si tratta di cose che l’occhio dovrebbe trovare un grande diletto nel vedere, l’orecchio nell’udire e la memoria nel ricordare».

 

prof. Francesco Zambon

Il lupo e l'unicorno

Il lupo era uno degli animali che nel Medioevo incuteva più terrore, perché di solito non attaccava da solo, ma in branco. Si credeva che i lupi si cibassero oltre che di prede anche di vento: questa particolarità aggiungeva una nota di panico per un animale che sopravviveva anche in condizioni estreme, senza cibo! Lo rammenta nel 1456 il poeta François Villon triste e infreddolito, nella desolazione di una notte d’inverno dove un misero tizzone dovrebbe scaldare la stanza: «Verso Natale, stagione morta, quando i lupi si saziano di vento e ci si chiude in casa per il gelo vicino ad un tizzone, mi venne l’impulso di spezzare la mia amorosa prigione che soleva straziarmi il cuore». Bartolomeo Anglico nel XIII secolo, nella sua fortunata enciclopedia Delle proprietà delle cose, ricorda che quando si osserva qualcuno che all’improvviso rimane silenzioso o smette di parlare si dice «lupus est in fabula», per la proprietà dell’animale di rendere muto un uomo, se lo avesse visto per primo. È un modo proverbiale sopravvissuto fino ai giorni nostri, anche se con un significato leggermente diverso, perché lo si cita quando sopraggiunge una persona di cui si stava parlando. Però, poiché l’arrivo non previsto tronca il discorso iniziato, avvertiamo uno stinto ricordo del potere magico del lupo.

Richard de Fournival nel suo Bestiaire d’Amours rivolgendosi alla dama sdegnosa confessa: «Era inevitabile che io perdessi la voce non appena il lupo mi vide per primo, cioè non appena riconobbi che vi amavo, prima ancora di sapere come sarebbero andate a finire le cose». Oltre che dalla vista Richard de Fournival si dichiara catturato dall’odorato, proprio come il ferocissimo unicorno che attratto dal profumo verginale di una fanciulla depone ogni aggressività, si inginocchia ai suoi piedi e si addormenta nel suo grembo. Così facendo si vota però alla morte perché erano stati gli avveduti cacciatori a porre la fanciulla sulla strada dell’unicorno: sopraggiungono ben presto e lo uccidono.

Per la prima volta nei Bestiari non viene narrata la storia di un singolo animale ma la storia, colma di ambigui significati, di una coppia. Sono due i protagonisti legati da un evidente desiderio erotico, anche se il compito seduttivo della donna la mostra sotto un aspetto crudele, ingannatore, e doppiamente misogino. La fanciulla infatti a sua volta è vittima di un uso strumentale del proprio corpo, perché l’animale ammansito svelava un dato molto intimo di lei, la verginità. E tuttavia, come non essere a disagio di fronte alla doppiezza della fanciulla e alla triste fine del fiducioso animale? Conclude Richard de Fournival: «E Amore, che è cacciatore avveduto, pose sul mio cammino una fanciulla alla cui dolcezza mi sono addormentato e sono morto della morte che è propria di Amore, cioè di disperazione, senza speranza di grazia»

 

prof.ssa Chiara Frugoni