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Di qua, di là! No, di qua!

Le canzoni a manovella che noi abbiamo provveduto a inventare sono canzoni immaginarie. Per rappresentarle occorre che, dietro al sipario a soffietto ascensionale, si sia provveduta la strumentazione necessaria:

 

grancasse sinfoniche, piani chiodati e a rullo, trombe a grammofono, chitarre, onde martinot, ululatori e stropicciatori a valvola, orchestrioni, corni da caccia, violini a tromba, turbanti, cilindri, sollevatori bulgari e aerostatici.

 

È un disco, questo, di cose che vengono dal profondo. Che affiorano a galla in scafandro e cilindro. È fabbricato con mezzi espressivi più leggeri dell’aria, tecnica di cui siamo sostenitori. Per realizzarlo ci siamo andati a trapiantare in uno studio di registrazione, come pinguini allo zoo. Non senza portare con noi mappe dettagliate e diverse parure di divise, che sempre ne subiamo l’affascinazione, e completi da banda e da riposo.

Ci si è ingozzati di emozione, e di suggestione, e di musiche, in una specie di abbuffata secolare e questo è in definitiva è il risultato.

 

Credo non possa lasciare in pace nessuno. Ci sono arie e canzoni degne dei vostri nonni, filastrocche per i vostri piccini e nostalgie per tutti.

Ci sono impeto e colpi di cannone, l’afflato di un’epopea tutta intera, liquidata, sparata, sventragliata. Una biografia generale, che di “auto” non ci interessa altro che l’automazione meccanica e insomma, ecco, dicevo che non c’è niente di personale da raccontare. Ad eccezione dell’ultima canzone, lì la faccenda, lo ammetto, è solo mia. Per il resto è, anzi, la vostra.

Per tutti! A ingresso libero!

Ci sono marce, marcette, rebetici. E sono i tempi binari, quelli che hanno bisogno di due stampelle per avanzare, che sono sempre in viaggio, e poi quelli ternari, da brindisi, da giro di vals, un due e tre!! Quelli spezzati, gessati, sorpassati… E ancora treni e ferrovie, il vecchio west… Deragliato dietro le retrovie d’oriente, la rotta greca, e canzoni di guerra, geografiche… Patafisiche e canti di mariachi tzigani… Serenate, tramvai, rose e ombrelli.

 

Tutto è perfettamente ballabile. Provate! Potete affittare il salone se volete, agghindato da parata, vestirvi da galà… L’orchestra ce l’abbiamo già messa noi! A disposizione. Senza badare a spese.

I migliori professori e maestri e direttori e strumenti lucenti a volte, oppure polverosi e abbandonati. A fiato! A rullo! A pistoni! A molla! Auff!!

 

Si dirà di sicuro che ho esagerato e questo è certamente vero. Ma la vita non esagera forse? Quando ci si mette in mezzo a una colica di immaginazione che dilata date e latitudini allora vale tutto. C’è posto per tutti anche per quelli che se ne sono già andati, per i posti che hanno già chiuso. Una storia più grande si prende la storia di ognuno e il sipario avvolge tutti come un mantello e ci riporta a casa.

 

Questo lavoro è una specie di regalo che abbiamo voluto fare ai molti temerari che si sono succeduti e buttati, ai molti oggetti in via d’estinzione, ai molti saloni che patiscono il silenzio di milioni di canzoni.

Ascoltatelo, se volete. Perdonateci, se potete.

Mit Liebe,

L’autore

Listino delle intenzioni. Marzo 2000

LISTINO PEZZI

 

Bardamù…………………………………….espressionista, aeresoatico, struggente 

Polka di varsava (frammento)

Corre il soldato………………………………treno

Contratto per Karelias………………………..marcia, rebetiko

Suona Rosamunda……………………………valzer di guerra

Canzone a manovella………………………..fischsong da ciurma con fischio, i 7 nani marinati

Marajà……………………………………….filastrocca da bazar, vorticosa

Con una rosa………………………………...vecchio bolero italiano

Marcia del camposanto……………………...funerale a ottoni..new orleans –palermo

Canto dell’ussaro…………………………...Dead man, la rotta dietro le retrovie d’oriente

Nella pioggia………………………………..Chagall

I pianoforti di Lubecca……………………….Aria, operetta per piani scordati

*(Signora Luna………………………………cavaliere errante e solitario per la notte dell’altopiano

Solo mia………………………………………habanera zigana

Ranchera)……………………………………..sbronza tex –mex, fiesta… matrimonio

Resto qua…………………………………….Luci della Ribalta… spente

 

*Oppure:

I pagliacci………………………………….valzer fantastico, con frusta per domatori

Dall’altra parte della sera…………………..struggente, ebraico

Decervellamento……………………………Jarry, da Baraccone... Famiglia Addams

 

STRUMENTI

Trombone

Banjo, mandolino banjo

Percussioni sinfoniche

Marimba

Conga

Clarino

Clarone

Violino

Violino-tromba

Violoncello

Sax baritono

Tromba

Piano verticale accordato

Piano verticale scordato

Chitarra elettrica

Farfisa

Armonium

Toy piano

Fisarmonica

Contrabbasso di compensato

Tuba

Bombardino

Corno

Corno da caccia

bottiglie

 

RIFERIMENTI

Gran varietà di Istanbul

Pianoforti rotomeccanici, organi da fiera

L’opera da tre soldi

Jarry… UBU

C. Chaplin

I Western di Leone

Funerali da banda d’ottoni

Céline

Rebetiko

Pinocchio

Aerostati

Intonarumori

Operetta

Sollevatori di pesi

Fonografi, ginnasti, monocicli,

Cilindro e bastone

Scarpe bicolori

Julius Verne

 

METODO

Gli strumenti dovrebbero essere usati per famiglie. Che non si sentano orfani. Ance con ance, ottoni con ottoni, eccetera.

Il contrabbasso deve essere preparato in modo da avere molto attacco e poco sustain, deve sempre accompagnare in maniera semplice, all’antica... Come fosse la stampella del tempo. Più il suono è legnoso, meglio è.

Gli strumenti, ed anche la voce, possono essere riregistrati, passando ad esempio per trombe da grammofono, o vecchi amplificatori..

Si suonerà insieme, vicini, al centro della sala, debitamente allestita. La sala dovrà contenere tutti gli strumenti ordinati, sempre a disposizione, anche quando non servono.

Ci dovrà essere un piano verticale, vecchio tipo, ed uno a coda, un piccolo set di riflettori da concerto, lampadari, oggetti e vestiti di scena.

 

MUSICA

Immagino orchestrine, che si sentano tutte compatte, di modo che non si distingua se sia un armonium o un orchestra, suono acustico, a volte da grammofono... Archi in picchiata, ottoni a scoppio, trombe da mariachi, chitarre tremole… Habanera, polka, valzer…

Nostalgie... Spezie d’oriente, minareti in lontananza.

L’oriente deve arrivare così, come un tappeto pregiato in un salotto lussuoso d’un palazzo d’inizio secolo.

Odio i suoni nitidi, cristallini, riverberati, la perfetta distinzione degli strumenti.

Mi piace l’armonia, la vibrazione che mischia e assomma.

La batteria raramente dev’essere usata come tale, più utile immaginarla scomposta, come avviene nelle percussioni sinfoniche.

Interessanti tutte le percussioni in metallo, glockenspiel, campane tubolari, canne da organo... Il piano preparato, farlo suonare come un piano a cilindri, anche nel modo di armonizzare la melodia.

 

COLLABORAZIONI

Oltre al gruppo consolidato, abbiamo contatti in corso con Pascal Comelade, un musicista francese che si occupa di strumenti giocattolo a tasti, patafisica, circo ed argot.

Marc Ribot, il chitarrista obliquo e Tommaso Vittorini, compositore  per cinema ed arrangiatore.

Pasquale Minieri, produttore.

In loco:

Roy Paci: tromba chicana, arrangiamento ottoni (già capo della Banda Ionica)

Davide Graziano: batteria

Mirco Mariani: tamburi, rumori

Luciano Titi: Progetto musicale, strumenti meccanici, fisarmonica

Enrico Lazzarini: contrabbasso

Ares Tavolazzi: contrabbasso

Giancarlo Bianchetti: chitarra

Achille Succi: clarino, clarone, sassofono

Fabrice Martinez: violino, violomba, cymbalon

 

 

Casa discografica C.G.D.

Roberto Mancinelli: coordinamento

Produzione esecutiva: Renzo Fantini - Concerto

Produttore del suono: Pasquale Minieri

Orchestrazioni: Tommaso Vittorini

Produzione artistica: V. Capossela

Appunti sulle Canzoni a Manovella

...È difficile scrivere per me, mi devo sempre rinchiudere, mi prende sempre alle spalle questa, diciamo, ispirazione, cioè un momento in cui la vita aggredisce in maniera molto più intensa del solito.

 

Fa intravedere cose, possibilità dietro le stanze, per esempio... E se mi fermassi qui, in questa camera? Forse ho già tutto a portata di mano, e se esco poi mi frantumo, e perciò insomma, siccome spesso facevo spettacoli, dove andavo lì mi fermavo. I miei sogni come un'edera impazzita si attaccavano subito alle prime pareti che trovavano, buttavano radici a tutti i costi, e ogni volta ritornare indietro era un problema. Sono molto fortunato, i miei sogni non mi lasciano mai da solo, ma c’è la sua difficoltà a gestirla, questa colica di immaginazione. Non si può mai prendere un appuntamento, bisogna fare attenzione a quello che si mangia, è come un'ingravidazione continua, permanente, una sensibilizzazione patologica, come un frenulo irritato.

 

Nel complesso ho scritto tutto questo tra agosto 1998 e marzo 2000. Dopo il Ballo di San Vito (1996) non ho più avuto una casa e quindi non ho scritto nessun pezzo al piano. Dopo trovai uno scantinato, non avevo strumenti lì dentro, soltanto la macchina da scrivere. Poi persi anche quello e perciò niente più pianoforte.

 

Suonavo prima dei concerti, mi concentravo solo sulle versioni da fare dei pezzi già esistenti.

 

Per 3 anni non ho scritto un pezzo di parole e musica, poi nella segreta di un castello, era estate, mi fissai su una melodia non mia, un pezzo greco, e provai per due giorni a metterci le parole. Era un rebetico... Ebbro fino agli occhi... Lo stesso feci in ottobre con Contratto per Karelias

Lavoravo a questi pezzi per poterli fare dal vivo, in quel caso con la Kocani Orkestar. Erano sempre esecuzioni disastrose. Di sicuro il pubblico non poteva apprezzare, ma io andavo avanti con pezzi che ancora non c’erano.

Gli spettacoli - anche così differenti - fatti in questi anni mi sono sempre serviti per nutrirmi. Provavo i pezzi, se nuotavano, bene.

Se no affogavo insieme a loro.

 

Il '97 fu l’anno dei readings. Era iniziata collaborando con Marcos y Marcos per promuovere le riedizioni dei libri di John Fante. Fante mi piaceva, soprattutto quand’ero più giovane, ma lo facevo soprattutto per stare nel mondo dei libri. L’editore, Cinaski, i fogli scritti a macchina, i treni… Con quel pretesto, andando in giro a fare readings, scrivevo moltissimo. In capo a poco leggevo per la maggior parte le mie poesie e racconti. Quella raccolta si sarebbe dovuta chiamare “Non si muore tutte le mattine”. Forse sbagliai a non pubblicarla.

 

Nel '98 mi sono preso la mia sbornia zigana. È una musica fantastica, anche per il mondo che evoca. Ci sento civette, cornacchie, il retrogusto della frizione bruciata del 124 Sport, le mammanonne, l’Occhino. È la mia infanzia, i fuochi d’artificio. 

L’Oriente che sento adesso, invece, ha un fascino più sottile, più da tappeto volante, da Orient Express, un intarsio prezioso riportato in salotto dal gran bazar di Istanbul.

 

Certo ci sono state altre rivoluzioni. Non guido più l’auto. È troppo contemporaneo. Sono diventato un viaggiatore a rotaie. Mi sono stabilito in un quartiere adiacente a un grande stazione. La ferrovia ha una grande Epopea, quella della vecchia Europa.

 

Celine… Trovo molto affascinante la cosiddetta Trilogia del Nord. Tutta questa Europa distrutta, tutta questa Germania a pezzi, treni che proseguono mentre la ferrovia salta in aria dietro di loro.

Il Mar Baltico, l’esilio, la spiaggia, la capanna di Korsor. Céline ha avuto la sua dannazione. Qualcosa di più grande di lui ha costretto la sua esistenza a una missione..  «Prenditi questo male, poi vai e prova a dire quanto è orribile l’uomo». Se n’è ben consumato. Non se n’è mai saziato. Era astemio, gli faceva schifo anche mangiare. Si è trovato anche nel periodo giusto, proprio in mezzo alle palle della storia. Nessuna penna ha fatto male come la sua. Bardamù non è un omaggio a lui. È la mia rivincita.

 

La Germania ha il fascino del continente e i vecchi pianoforti tedeschi hanno il fascino della Germania. Con tutte le loro medaglie stampate, dorate, il nome della città di fabbricazione, Dresden, Leipzig, Berlin... È la vera geografia Kaps, Bechstein… Sentite che sinfonia! Sono nato ad Hannover, la città della Deutsche Grammophone, non so una parola, però a Lubecca sul Baltico so che c’è un immenso magazzino di piani abbandonati. I piani scassati devono avere di sicuro un’anima e un sacco di rimpianti e di nostalgie, basta pensare a quanti sentimenti hanno cantato, perciò di sicuro, se li si lascia soli, trovano il modo di suonare, di fare festini ed anche di farsi la corte, perché sono galanti di natura, ed anche altezzosi, frivoli, e spesso ubriachi di champagne.

Per realizzare I Pianoforti di Lubecca ho cercato Pascal Comelade, un musicista francese che stimo molto. Abbiamo lavorato per corrispondenza, il suo mezzo preferito. Alla mia lettera ha risposto con poche parole, è un minimalista… Tutto ciò che riguarda l’argot, i piani giocattolo e Alfred Jarry mi è caro. Possiamo farlo. Ci firmavamo entrambi disegnando una spirale patafisica sull’ultima vocale. Prima o poi ci incontreremo.

 

Il testo della Chanson du Decervelage di Jarry lo cantano i palotini in «Ubu Cornuto». Il Decervellamento l’ho scritto nel 1993 per Pop e Rebelot di Paolo Rossi, ed ho aspettato tutto questo tempo per poterlo finalmente mettere in un disco dove potesse alloggiare, perché un UBU, con tutta la sua cornoventraglia, non si piazza facilmente ovunque. Ci vuole una pedana sanguinolenta e un uncino da merdra, e uno sghigliottinamento con polvere esplodente e una affettatrice a manovella sonora e un megafono d’ottone. Con tutto questo si può allestire solo quel poco di guiduglia in cui il grosso Père Ubu possa razzolare. Del genio di Jarry amo, oltre alla scienza patafisica, anche il suo revolver e i pantaloni da ciclista. Sono contento che il secolo che ci separa possa farci sentire molto più indietro di lui.

 

I Pagliacci è un pezzo sulla tragedia del fare ridere, il dramma di ogni intrattenitore: conservare nel tempo la propria magia. Occorreva anche fare sentire la disperazione degli elefanti, perciò è un pezzo corale. Mentre lo suonavamo, mi sentivo addosso tristezze di esistenze lontane, sconosciute. Carrozzoni nella prateria, il vecchio west in tournée per Barnum&Bailey, il grande Calvero… Ho preso una frusta usata e l’ho schioccata in una sala vuota.

 

In tutta questa epopea non c’è niente di afroamericano, però ugualmente qualcosa è arrivato da oltreatlantico. Ed è il fascino dei cavalieri solitari nella notte, del vecchio west dagherrotipo, di William Blake in Dead Man. Il vecchio treno a vapore e la polvere e la luna.

 

Signora Luna… Ho sentito quella melodia fatta alla chitarra da un indio andino alle 5 di mattina, era una canzone sulla madre morta, ed è l’unica cosa di quel pezzo che so. Era un momento molto speciale, così ho conservato quell’aria e l’ho riscritta per me.

 

Solo Mia è un pezzo tradizionale che ho imparato da Neat Veliov e Orkestar. È una canzone struggente. Il testo in italiano ricalca quello vero del pezzo.

 

Contratto per Karelias… Ho sentito la melodia suonata da uno studente greco, me la suonava per insegnarmi i passi del ballo Kasapiko. Su quella melodia ho scritto una storia in cui c’è molto del modo di sentire dei Rebetici. Più tardi ho scoperto che la canzone si chiama Fragosiriani (ragazza di Samos) e che l’autore, Markos Vanvakaris, è stato il padre di questa musica. La sua voce è veramente lo spirito del Rebetico, un lamento che si canta in coro, ma si balla da soli.

 

Ci sono altre canzoni su cui ho lavorato, un giorno spero di riuscire a metterle insieme e registrarle. Le chiamerò Parole d’altrove. C’è un filo rosso, fatto di assenza e di nostalgie, che unisce lo spirito di diverse musiche; il tango, la morna, il rebetiko, la saudade... Nell’estate del 1999 ho tenuto una serie di concerti con queste canzoni e questo titolo, da allora è cambiato qualcosa nel mio modo di cantare, un modo più d’anice… Non so, si vedrà.

 

  Vinicio Capossela

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