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Camera a Sud

«Camera a sud» va considerato come un lavoro rodato su strada. Night club dopo night club, palco dopo palco, decise di esporre i suoi brani all'impietoso e imparziale responso del pubblico nel 1994. Erano canzoni ancora inedite, inserite in scaletta e presentate dal vivo ben prima dell'uscita fisica del disco. Ma è anche il suo primo lavoro che vede una distribuzione fuori dai confini italici, venendo pubblicato anche in Francia. 

 

In questo disco, Capossela continua a mostrare maggiore attenzione a riferimenti musicali provenienti dall'America Latina, evidenti in brani come «Che coss'è l'amor» e nella title track. Altri mantengono l'impostazione tipica del cantautore, ovvero mescolare la canzone d'autore con il jazz e con il blues: «Non è l'amore che va via», «Il mio amico ingrato» e «Tornando a casa». «Zampanò» è invece ispirata al film «La strada» di Fellini. 

 

Pur rimanendo fedele ai suoi riferimenti letterari, Capossela inizia a guardarsi intorno e a concedere più spazio alla fantasia e ai sentimenti, supportato da una trama sonora ben più fitta, con archi, fiati e morbide percussioni. Sotto questo punto di vista, «Camera a sud» può essere considerato il suo pot pourri più omogeneo, la miscela più pura. Da bravo chimico si bea della formula per la corretta combustione tra forme musicali popolari e ciò che già conosce e fonde con sapienza e con coerenza. 
Questo impasto, impreziosito dall'allargamento degli esecutori e da alcune collaborazioni di prestigio, su tutte la tromba di Paolo Fresu in «Amburgo», rivela un Capossela ormai maturo. Le parole, intanto, si affollano, nel rigore di una scrittura baciata da un certo classicismo demodé, sempre tesa all'equilibrio con il suono, alla stabilità.

 

Una curiosità: la già citata «Che coss'è l'amor» è stata utlizizzata da Marco Bellocchio ne «L'ora di religione» e da Aldo, Giovanni e Giacomo nel loro primo film, «Tre uomini e una gamba», durante l'impareggiabile scena della partita di calcio Italia-Marocco sulla spiaggia. 

 

 

Matteo Quinzi

Un disco da leggere

Sin dalla più tenera età mi sono pasciuto di un certo tipo di letteratura on the road: Kerouac e la sua schiatta, Corso, Bukowski, Ginsberg… Ma anche gli italiani. Ad esempio Tondelli: Altri libertini era un libro che permetteva l’applicazione di una certa mitologia estera (anche musicale) alle cose nostre. Mi resi conto, allora, che c’era questa possibilità…

 

Partito, inoltre, musicalmente parlando, da presupposti classici (swing, jazz, Gershwin e affini), proprio come il succitato Tondelli (che scriveva libri da… ascoltare), Vinicio Capossela esordì (e, tutto sommato, continua a farlo) con dischi da… leggere. Letture atipiche che, poi, quasi naturalmente, hanno portato ad altre, ancora più allargate, a vere e proprie scoperte come i tanghi di Goyeneche, i film di Kusturica (Il tempo dei gitani), le “colline perdute” di John Fante

Camera a sud, il suo terzo album, precisa la dimensione di questo cantautore, definito da più parti il migliore della nuova generazione. Fra i pochi a saper usare l’ironia e a saper godere dell’autoironia, malgrado una timidezza congenita, l’ha sin dagli esordi abbinata a gran parte dei suoi testi e al suo modo di cantare, mentre musicalmente ha scelto una via che potrebbe essere definita addirittura tradizionale.

Sin dal primo brano, Non è l'amore che va via, quella che colpisce immediatamente è proprio la classicità apparente della musica, stilisticamente parlando. In ogni caso è anche un biglietto di presentazione per l'album tutto, di sapore italo-sudista più che latino («Meglio, comunque, latino - non quello sudamericano, tranne un pezzo - che non il solito mediterraneo usato tutte le volte che si vuole parlare di radici e consimili»). E, comunque, di radici nei testi non se ne parla, o se ne parla poco. Casomai c'è la voglia di trasformare lo spunto personale in espressione poetica. 

Proprio come accade in Zampanò: non ci sono né Rota né Fellini, quanto piuttosto la descrizione di «un mondo di guitti. È una canzone sull'abbruttimento in cui spero si avverta questo starnazzare di anatre, di pollaio, di fango e polvere». o in Amburgo, grande canzone d'amore subito smitizzata dallo stesso autore. «Musicalmente ho cercato di trovare un'atmosfera un po' nordica, più rarefatta. Si apre con spazzole, trombe, e poi il crollo infamante: entrano sedici violini e viene a galla tutta la meridionalità possibile».

 

Che coss'è l'amor, pseudorumba apparentemente ridanciana, evidenzia consueti caposseliano risvolti amarostici: 

«La domanda, di per sé drammatica, viene sdrammatizzata proprio dalla doppia "s". Musicalmente definirei questo brano un finto latino, che, poi, è un incrocio tra un tango e un pezzo di Carosone. Anzi, c'è il riff che è proprio rubato a La barca tornò sola (e a me che me ne 'mporta). La storia narrata proviene da un raccontino da me scritto, intitolato Il monarca esautorato». 

 

E a questo punto aggiungiamo (lui non lo direbbe mai) che Capossela è anche un autore letterario in prosa: chi se ne intende dice che i suoi racconti sono ottimi.

 

D'altronde Il mio amico ingrato, alla fine, è proprio uno di questi racconti, per di più scritto a caldo:

«Praticamente al matrimonio mi ci portarono in barella: era mattina presto... Comunque di fronte a tutto quel candore, a quel bianco abbagliante, mi accorsi che era tutto fittizio: i parenti erano quasi tutti separati e risposati... C'era, quindi, una moltiplicazione non certo di buon auspicio per gli avventurandi. È una condizione in cui quelli della mia età, attorno ai trent'anni, si tovano a vivere spesso, con gli amici che cadono uno dopo l'altro».

 

Si prosegue con Fatalità («Il fato è un avvenimento che non dipende da noi, ma è la solita colpa delle circostanze») e con Camminante, canzone vagamente bucolica per definizione. «In realtà io penso che per noi, anime irrequiete, l'amore è spesso visto con carattere di staticità... Quindi questa è la canzone di colui che, più o meno, si appresta a lasciare quello che ha per quello che non ha». Con Furore si procede sulla strada delle situazioni: ne è addirittura una carrellata e, dal punto di vista musicale, una cavalcata: «È praticamente un aspetto tribale dell'incazzatura: il protagonista non ha avuto la forza di sfogarsi, s'è tenuto dentro tutto durante una lite (probabilmente una diatriba amorosa). E allora si sfoga a 200 all'ora prendendosela con tutti...»

È stata scritta per la tournée con Paolo Rossi ed è intitolata Ma l'America... «Trattasi di pezzo vagamente migratorio il cui senso testuale, di sapore argentino (partir, non partir, un po' come volver), è puramente descrittivo di una città portuale agli inizi del secolo». Il ritornar, invece, nulla ha a che vedere con la migrazione di cui sopra. Tornando a casa «mi si consenta, è un grido di poesia che muore in bocca a colui che torna a casa tardi. Lui è uscito da solo, lei è rimasta a casa: saranno le cinque di mattina e si risvegliano tutti i sensi di colpa (alla fine potevi venire anche tu, chi te lo proibiva!). È il senso di colpa che hai anche quando sei totalmente innocente, è atavico, ancestrale!». 

Rovescio della medaglia, Il fantasma delle tre è la storia di una seduzione notturna vista con gli occhi di lei: «È il resoconto dettagliato di un... Cedimento con uno sconosciuto che, di solito, avviene proprio verso quell'orario». Slow per lui (che non ha colpa), jazz strappato per lei.

 

Guiro costituisce senz'altro il brano più latino - questa volta sudamericano - di tutto l'album. Il guiro in questione (si legge ghiro) è uno strumento musicale: il gioco tra i differenti significati in spagnolo e in italiano serve a mettere insieme l'invenzione musicale e il significato testuale: «Da una parte il son gualano (che in irpino significa campagnolo, bovaro, rozzo) e dall'altra la morale di un pensatore di probabile nazionalità russa che, con più di mille pagine, ha dimostrato che non vale la pena di alzarsi la mattina. Da qui il finale significativo "son guiro e mi ritiro"». Trattasi di evidente follia caposseliana!

E poi concludiamo col brano che dà il titolo al tutto, Camera a sud, che non è altro che una specie di riassunto di tutto il disco, in cui lo spirito del viaggio è ancor più accentuato, e il senso della solitudine, pur accompagnata, vien fuori proprio dalla vista della finestra... Ma anche dalla musica, abbandonata e rilassante, dal sapore vagamente brasiliano e ruspante. 

Per leggere di più

Cliccate qui per leggere alcuni interessanti stralci di interviste rilasciate da Vinicio Capossela tra il 1994 e il 1995. Le interviste possono essere sia consultate sia scaricate in formato Word.